Alle 6:30 ho la sveglia, devo alzarmi, poi iniziamo a sentire “allarme, allarme”'. Non sappiamo cosa fare, perché non siamo mai stati in una situazione del genere, quindi semplicemente corriamo fuori verso un cilindro orizzontale di cemento. Entriamo nel cilindro ma non è proprio la cosa più protetta, i boom sono davvero pazzeschi, esagerati, e a ogni boom penso di morire. I razzi cadono vicino ai nostri dormitori e le schegge ci volano addosso, tutti iniziano a piangere, anche le ragazze che sono lì da molto tempo dicono che non è mai stato così forte. E questo è appena l’inizio.
Iniziano ad arrivare dei messaggi che dicono c’è un invasione, cioè un infiltrazione di terroristi nel territorio del Paese... non solo nella nostra sala operativa, ma anche a Nahal Oz, Iftah, Reim e Kerem Shalom (Basi e avamposti che si trovano in prossimità dei yishuv/kibbutz menzionati, tutti vicini al confine con la striscia di Gaza). In ogni posto entrano tantissimi terroristi, qualcuno dei nostri lo ha anche segnalato prima, ma le forze non arrivano in tempo per fermarli. È una quantità enorme di terroristi, qualcosa di folle. Cominciano a sparare ai “pascal” (un grande computer che controlla le telecamere di sorveglianza), alle telecamere e ci ritroviamo impossibilitate a sorvegliare.
Ci dicono che la nostra unica alternativa è mettersi le gambe in spalla e correre verso la sala operativa per salvarci la vita. Mentre fuggiamo suonano gli allarmi, i razzi cadono vicino a noi, e io corro come non ho mai corso in vita mia, semplicemente corriamo, entriamo nella sala operativa e ci dicono che tutti devono abbandonare le loro postazioni. Il pascal è una specie di computer enorme con una postazione, e a tutti noi dicono di abbandonare le postazioni e stare nascosti dietro i pascal, semplicemente nasconderci.
Ci rannicchiamo tutti e ci nascondiamo, poi arrivano dei rinforzi a difenderci. Abbiamo una porta che non si può chiudere perché la serratura è rotta, una squadra di soldati ci si siede davanti, è già una situazione sconvolgente, ma poi i terroristi tagliano l’elettricità ed entrambe le porte sono elettriche. Non appena cade la corrente, entrambe le porte si aprono.
"Non mangiamo per 26 ore."
All’inizio c’è una squadra di Golani e molto presto vengono tutti eliminati, uccisi uno dopo l'altro. Cominciano a portare i feriti nella nostra sala operativa, io inizio ad aiutare a curarli per quanto mi è possibile, perché ho davvero paura ad uscire dal nascondiglio dietro al pascal, in quei momenti temi davvero per la tua vita a livelli inimmaginabili, è dura anche mentalmente. Non mangiamo per 26 ore. Non c’è cibo, a malapena dell’acqua, distribuiamo davvero gli ultimi sorsi tra tutti. Rimaniamo in questo stato dalle 6.30 del mattino fino alle 23.00 circa.
Dato che è saltata la corrente elettrica, l'aria condizionata non funziona, non c’è aria, moriamo di caldo, faccio pipì in un bicchiere e in un cestino due volte, non c’è nessun posto dove fare pipì, la gente se la fà addosso per lo stress, le ragazze si fanno la pipì addosso, cose che non si possono neanche descrivere.
Non riesco nemmeno a descrivere quanto fossi spaventata per la mia vita ogni secondo che ero lì, avevo paura di muovermi, avevo paura di sedermi, il tuo corpo crolla, non abbiamo mangiato né bevuto, niente aveva assolutamente senso.
"Poi scatta l'allarme antincendio e lì sento che sto per morire, perché se usciamo ci sono i terroristi e se rimaniamo dentro muoio bruciata."
Mi nascondo in un cassetto, mi sdraio lì dentro, temo per la mia vita perché si sono aperte le porte e i terroristi hanno preso il controllo di tutta la sala operativa e ci sono molti morti, molti feriti ci gridano “il mio amico è stato ucciso”, “il mio amico è morto tra le mie mani”, la gente ci arriva con l'esplosione di una granata in faccia, quello che succede lì è un film, un film nauseante.
Poi scatta l'allarme antincendio e lì sento che sto per morire, perché se usciamo ci sono i terroristi e se rimaniamo dentro muoio bruciata. Per fortuna riescono a spegnere il fuoco. Probabilmente a Nahal Oz (base militare vicina all’omonimo kibbutz situato in prossimità della striscia) hanno bruciato tutta la sala operativa e le ragazze non hanno avuto scelta, era o uscire o restare ed essere bruciate, quindi sono uscite e poi non è chiaro se siano state rapite o cosa.
Ogni volta che i terroristi bussano alla porta è terrorizzante, non c’è nessun posto dove nascondersi, siamo nella fottuta stanza in cui vogliono entrare di più. La terza volta che bussano dobbiamo supplicare l'arrivo di rinforzi. Così tanti terroristi e tantissimi morti e feriti, nessuno sapeva come gestirsi e da noi piangono tutte, sono isteriche e vogliono solamente tornare a casa. Non so come sono sopravvissuta
Iniziano a spararci dalle porte, alla fine riescono a neutralizzarli, ma durante la seconda ondata sono sui tetti della nostra sala operativa. Imploriamo le forze militari di portare un “zik”, un tipo di missile che li spazzi via, e ad un certo punto il generatore inizia a funzionare ma poi cade di nuovo e poi iniziamo ad uccidere molti terroristi che cercano di scappare per salvarsi la vita e li facciamo esplodere. Vediamo che i “kitbag” (zaini militari) con le nostre uniformi e cose del genere sono stati rubati.
"Così tanti terroristi e tantissimi morti e feriti, nessuno sapeva come gestirsi e da noi piangono tutte, sono isteriche e vogliono solamente tornare a casa."
Cercano di tirarci fuori da lì ed abbiamo paura, per tutto il tempo ci sono anche dei missili, quindi aspettiamo un altro po' ed alla fine ci mettiamo in fila a coppie, con delle squadre di combattenti ad entrambi i lati che ci difendono. Quando siamo fuori dalla sala operativa iniziano degli spari. Siamo esposte lì, ci accovacciamo, mi siedo sul sangue dei combattenti perché non c’è nessun altro posto dove sedersi. Ora che arriviamo all'autobus facciamo in tempo a vedere corpi di persone, molti degli amici delle soldatesse di vedetta (Ruolo militare del testimone – sono soldati che tramite tecnologie sorvegliano vari luoghi) sono stati uccisi, i carri armati hanno smesso di funzionare, non eravamo preparati in nessun modo a quello che è successo. Sono riusciti a salvare le vedette. Delle “Masciakiot Tash” (Il nome del ruolo militare delle soldatesse che coordinano l’assistenza sociale dei soldati) non penso che ne sia rimasta una viva.
Ogni rumore adesso mi stressa, ogni boom e ogni porta che sbatte o qualcuno che fa uno starnuto. Non tornerò là, non posso. Come posso tornare alla mia vita, di dormire da sola non se ne parla, non sono in grado di fare nulla che una persona normale possa fare.
Non è giusto che delle ragazze della nostra età abbiano dovuto passare questo, e io addirittura ero solo al mio secondo giorno lì.
Soldatessa Anonima